CPS Roma - Difendiamo i diritti con la lotta

La qualità dell’istruzione pubblica non si difende con il sacrificio individuale del singolo docente ma con la salvaguardia del rispetto dei diritti e con la lotta.
Con le leggi sui tagli approvati dal Governo e con la discussione della proposta di legge Aprea ci troviamo di fronte ad una radicale trasformazione del sistema d’istruzione pubblica per come l’abbiamo vissuto e conosciuto sino ad ora. L’effetto combinato dei tagli, delle leggi sul riordino delle classi, delle nuove modalità di reclutamento e della progressiva trasformazione degli organi collegiali nella scuola con l’inserimento delle fondazioni nel Consiglio D’amministrazione di ogni di ogni istituto s’inscrivono in una concezione complessiva dell’istruzione basata essenzialmente su due punti: una visione localistica, privatistica dell’istruzione in virtù della quale ogni singola scuola fa riferimento a se stessa, assume privatamente i propri insegnanti, gestisce autonomamente i propri fondi in un ottica di competizione formativa con le altre scuole, una visione rigidamente gerarchica ed autoritaria dei rapporti umani all’interno della scuola, basata non più sul lavoro collegiale delle varie componenti ma sulla più bieca competizione individuale, sul principio della lotta di tutti contro tutti, all’interno della quale la speranza di poter salvaguardare il proprio posto di lavoro o di migliorare la propria condizione ha la meglio su qualunque principio d’autonomia e di qualità dell’insegnamento.
Da questo punto di vista l’ampliamento voluto di una massa di precari nella scuola che in condizioni diverse hanno subito prima l’illusione di una stabilizzazione, poi la realtà concreta di una possibile disoccupazione a causa dei tagli, rappresenta un grimaldello utilizzato più volte dai Governi per alimentare quel clima di paura, di terrore, di sotterranea competizione individuale, favorevole all’introduzione di un modello d’organizzazione della scuola privatistico, autoritario ed intrinsecamente arbitrario che ci si prospetta negli anni a venire.
Aumentare progressivamente gli alunni per classe in un contesto di progressivo impoverimento delle risorse per la scuola significa delineare un modello di docente frustrato, sempre più in difficoltà nella capacità di mantenere le condizioni migliori per un efficace esercizio della didattica, un docente che, dovendo far ricorso alla disciplina per esercitare al meglio il proprio lavoro, scarica sugli studenti le proprie frustrazioni; utilizzando il voto in condotta come strumento per sublimare la propria impotenza.
Le possibilità di riuscita di questo modello di distruzione della qualità dell’istruzione pubblica, dipendono, purtroppo, da una serie di atteggiamenti, di comportamenti che si sono consolidati nella classe docente in questi ultimi anni e che, purtroppo, si sono sedimentati anche e soprattutto fra i precari della scuola. In primis
l’attitudine a concepire l’insegnamento e la formazione esclusivamente come un processo individuale, una serie di qualità singolari che dipendono esclusivamente dall’abilità dell’individuo nel rapporto con la propria classe senza alcun rapporto con le condizioni sociali, culturali e di valori che si sviluppano nel contesto esterno; in primis la possibilità di lavorare o meno e le condizioni oggettive in cui si esplica il proprio lavoro determinate dai tagli e dalle riforme in atto.
Troppe volte gli insegnanti sono chiamati a sopperire individualmente alle inefficienze, alla mancanza più completa del rispetto della legalità nella scuola (vedi la mancanza del rispetto delle norme sulla sicurezza nelle aule, alle normative che regolano il rapporto tra alunni normodotati, insegnanti di sostegno e disabili per classe) invece di denunciare pubblicamente tali carenze per risolvere concretamente i problemi ed individuare i reali responsabili del malfunzionamento delle scuole.
Se non siamo in grado di denunciare collettivamente i reali responsabili di un sistema di gestione delle scuole caratterizzato dal sopruso individuale e dall’arbitrio personale al quale dovremmo opporre una gestione basata sul principio della collegialità, della reale collaborazione delle componenti che formano la scuola e del riconoscimento dei diritti di chi nella scuola vi lavora, non possiamo pretendere che le famiglie e gli alunni collaborino con noi nella difesa della scuola pubblica, che riconoscano nella rivendicazione dei nostri diritti uno strumento per difendere la qualità dell’istruzione della propria istruzione o di quella dei propri figli.
L’annichilimento della libertà d’insegnamento del docente, il ricatto esercitato in maniera sempre più pressante dal dirigente scolastico e dai consigli d’amministrazione – così come previsto dal PDL Aprea e dal progetto di chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici – costituiscono l’apripista per la costituzione di una scuola basata sull’autoritarismo, sulla mancanza più completa di senso critico nei processi d’apprendimento, sul servilismo generalizzato della classe docente che, in ultima istanza, non può che riflettersi negli alunni, generando in loro insofferenza, mancanza di stimoli e senso critico, indisciplina, accrescimento della cultura dell’autoritarismo fine a se stesso; distacco verso il carattere libero ed autonomo della cultura e della scienza.
La difesa del carattere libero, laico, democratico della scuola non può che passare attraverso una lotta incessante contro il processo di precarizzazione ed annichilimento dei diritti della classe insegnante; la quale, però, deve essere in grado di denunciare l’abbattimento dei propri diritti e l’arbitrio che si viene ad instaurare nelle scuole come la principale causa di un processo di decadenza, servilismo, mancanza d’autonomia e di senso critico che distrugge qualsiasi proficuo processo d’apprendimento e d’interesse verso il mondo della cultura, della scienza e della tecnica.

Coordinamento precari scuola-Roma