Oltre la forbice - Foglio del Coordinamento Precari Scuola di Roma n. 3 - gennaio 2011


 

















































































































































































Oltre la forbice Foglio aperiodico di controinformazione del Coordinamento Precari Scuola di Roma
numero 3 - gennaio 2011

L’autunno del 2010 è stato caratterizzato, dal punto di vista sociale, da un crescente sviluppo delle lotte che si sono concentrate
principalmente in due settori e su due questioni dirimenti: la
vertenza dei metalmeccanici  sul contratto  separato proposto dalla
Fiat e le imponenti mobilitazioni nella scuola e nell’università che
hanno visto in prima linea gli studenti ed i precari contro le proposte
di riforma della Gelmini.

Dopo gli scioperi della fame ed  i presidi messi  in atto dai precari
della scuola, i primi di settembre il movimento studentesco ha saputo
allargare  e  radicalizzare  il  conflitto  con  imponenti manifestazioni
studentesche che si sono collegate, intrecciandosi, con la grandiosa
manifestazione indetta dalla Fiom il 16 Ottobre. Lo sviluppo esponenziale della lotta sociale e studentesca si è verificato dopo il 16,
con un’ondata di occupazioni studentesche nelle scuole che si è collegata con la lotta dei ricercatori e degli studenti universitari contro
la riforma Gelmini che ha trovato il suo epicentro nella giornata del
14 dicembre.
Questa è stata caratterizzata da un’inedita, variegata e rabbiosa par-
tecipazione giovanile, sulla scia di quanto sta avvenendo in Grecia,
in  Inghilterra e  in diverse parti del Mediterraneo, e ha dimostrato
che nel nostro Paese esiste una tenace e capillare lotta sociale che
passa attraverso le realtà autorganizzate e i movimenti. L’elemento
caratterizzante di quella giornata può essere sintetizzato nella manifestazione di indignazione e violenza che si è manifestata quando è giunta  la notizia che  il Governo  rimaneva  in carica grazie ad una
compravendita  di  voti  con  alcuni  esponenti  dell’opposizione  alla
Camera. Gli scontri di piazza e la vergognosa compravendita di voti
mettono in luce l’abissale distanza che separa sempre più, attualmente, l’inconsistenza dei dibattiti e delle discussioni di Palazzo con i problemi che stanno vivendo i settori più deboli, coloro che più di tutti stanno pagando il costo sociale ed economico della crisi.
Il dato che è risaltato con maggiore evidenza in tutta questa fase è
stata l’assenza dell’iniziativa del sindacato considerato nel suo com-
plesso – escludendo  il settore metalmeccanico – che si è  tradotta,
nella scuola, nella difficoltà dei lavoratori di sostenere attivamente,
prima le occupazioni studentesche e poi le grandi giornate di mobi-
litazione del 30 novembre e del 14 dicembre, anche perché non co-
perte da alcuno sciopero. Infatti, di fronte alle insistenti richieste di
Dai presidi dei precari alle occupazioni studentesche
Ora lo sciopero generale!
sciopero generale che provenivano da più parti – metalmeccanici,
studenti, precari della scuola e della ricerca – il principale sindacato
italiano, la CGIL, ha risposto sempre eludendo il problema, riman-
dandolo a tempi indefiniti, ricercando scuse che nascondono quella
che è, invece, la vera ragione per cui lo sciopero non è stato ancora
proclamato: le pressioni del partito democratico sui vertici del sin-
dacato per aprire con CONFINDUSTRIA l’ipotesi di un nuovo patto
sociale a danno dei lavoratori.
Dentro questo quadro si è  inserito  l’ulteriore attacco compiuto da
Marchionne e dai vertici Fiat alla categoria dei metalmeccanici: forti
della sotterranea complicità del PD e dell’esplicito appoggio di tutto
il mondo imprenditoriale e del governo, hanno riproposto l’ipotesi
della  cancellazione,  di  fatto,  dei  principali  diritti  dei  lavoratori,  a
partire da quello di sciopero, l’eliminazione di ogni residuo di de-
mocrazia sindacale, e la concretizzazione, sul campo, di ciò che Sac-
coni sta introducendo de iure, cioè l’eliminazione della contrattazione
su scala nazionale, l’individualizzazione del rapporto tra impresa e
lavoratore. 
La stessa tendenza è in atto nella scuola e nella università pubbliche:
anche in questi settori, la classe dirigente mira sempre più a concepire
in maniera  individualizzante  il  rapporto  tra personale e dirigenza.
Nella  scuola,  infatti, depauperata delle  risorse materiali  e umane,
nuove ambigue parole d’ordine vengono presentate all’opinione pub-
blica: dopo la campagna diffamatoria dei dipendenti  “fannulloni” ,
il tema centrale diviene la “meritocrazia” (e proprio a questa que-
stione, sono dedicati alcuni articoli di questo numero ai quali riman-
diamo). Qui ribadiamo le nostre posizioni fondamentali e cioè che
subordinare irrisori  aumenti di retribuzione ad una valutazione sul
“merito” significa sostituire con un palliativo individuale la  mancanza
di un riconoscimento economico collettivo ottenuto per via contrat-
tuale; e che d’altra parte dietro il concetto di meritocrazia si esprime
la volontà di alimentare insane logiche competitive tra gli insegnanti
disconoscendo  le acquisizioni  fondamentali delle esperienze della
collegialità. Al di là delle moltissime questioni relative ai parametri
in base ai quali il merito verrà valutato, le retribuzioni degli insegnanti
devono essere allineate alla media europea attraverso il CCNL.
Partendo da queste premesse, come coordinamento precari scuola,
riteniamo che la questione dello sciopero generale continui a porsi
prepotentemente all’ordine del giorno, e che
ciò vada fatto a partire

dalla data del 28 gen-
naio, rispetto alla quale,
proprio  in  virtù  della

mobilitazione  dell’autunno, le istanze di generalizzazione  si  sono
estese anche a settori significativi del sindacalismo di base; noi crediamo che la pressione dal basso debba portare
ad  un’estensione  ulteriore del conflitto in difesa  dei  diritti  del  lavoro  e  per  una prospettiva  di  futuro alle nuove generazioni
e  a  settori  sempre  più vasti del lavoro e della società civile. Parafra
sando alcune delle parole  chiave  della  lotta studentesca  possiamo
affermare con certezza che  non  c’è  futuro senza conflitto.


pagina 2 L’ANALISI Oltre la forbice numero 3 - gennaio 2011

Valutazione e merito? La scuolamerita di più!
di Fabrizia Brandoni
 

Negli ultimi provvedimenti ed annunci relativi alla scuola e la forma-
zione, così come in molti altri ambiti della società,  si fa sempre più
riferimento al concetto di merito, concetto che trova sempre molta ri-
sonanza tra i media e l’opinione pubblica, anche quella tradizional-
mente orientata a sinistra, portati spesso a considerare la scarsa pre-
senza di un’ottica meritocratica la motivazione reale di tanti disagi e
difficoltà nel funzionamento della scuola. Vogliamo provare ad ana-
lizzare più da vicino questa importante questione, almeno nei termini
in cui è stata proposta nel mondo della scuola, e provare a sviluppare
un nostro punto di vista a riguardo.
La mancanza di una premiazione del merito, di una carriera co-
struita sul superamento di prove e selezioni, viene spesso additata,
da più parti, come una delle cause del malfunzionamento del
nostro sistema scolastico: gli insegnanti sarebbero in buona parte scar-
samente motivati a causa di assenza di controlli e di incentivi, e questo
produrrebbe, a catena, effetti disastrosi sulla qualità dell’insegnamento.
Ma sarà proprio così? O, in questa lettura, mancano alcuni elementi
importanti di ragionamento e tale assenza fa apparire un po’  mistifi-
catoria e semplificatrice questa visione della  realtà scolastica  (pro-
gressivi tagli ai finanziamenti, precarizzazione dei rapporti di lavoro… )? Ma forse tale assenza non è un caso. In questo modo infatti, piuttosto
che prendere atto dello stato di crescente abbandono  in cui è stata
progressivamente lasciata negli anni la scuola pubblica (diminuzione
delle risorse erogate dal ministero, non risoluzione del problema del
precariato, nessuna politica reale per affrontare in maniera progressiva
ed inclusiva la nuova realtà della scuola multietnica, permanenza di
salari tra i più bassi d’Europa, mancanza di dialogo e confronto tra la
scuola ed il ministero), e invece di  valorizzare il ruolo che l’insegnamento ha cercato di continuare a svolgere all’interno di tale situazione, si ribalta facilmente il discorso e si accusa la scuola, e chi ci lavora,di tutte le difficoltà ed i limiti generate invece proprio da questo complessivo disinvestimento. Il discorso sul merito allora serve al governo proprio per eludere il confronto su scelte e politiche distruttive, e proporre una ricetta   semplificatrice (e, proprio per questo, potenzialmente accattivante), ma che va invece smascherata per la prospettiva di umiliazione e mortificazione di cui  è in  realtà portatrice:
- invece di ragionare su un reale e complessivo coinvolgimento dei
lavoratori della scuola, di puntare a strategie inclusive che contribuiscano a costruire un corpo docente coeso, ad aumentare la motivazione e gli stimoli per il proprio lavoro ( come potrebbero fare provvedimenti tesi a rafforzare la formazione e la collegialità del lavoro didattico dei docenti, sul modello delle scuole elementari), ci si preoccupa di selezionare, di  individuare, premiare ed  incoraggiare  solo alcuni,  i cosiddetti meritevoli;
- l’individuazione del merito appare sostanzialmente legato a criteri
astratti di produttività  (di difficile  applicazione  in una  realtà  come
quella scolastica dove i risultati raggiunti dipendono e vanno quindi
valutati a partire dalle condizioni di partenza in cui ci si muove) e di
asservimento  al dirigente  scolastico  e  al  suo  contorno di docenti
esperti, accentuando ancora di più la gerarchizzazione e la repressione
nella scuola, nonché la rivalità tra docenti;
- al criterio del merito viene di fatto legata la possibilità dell’aumento
salariale  (con  la progressiva eliminazione degli scatti di anzianità):
diventa quindi il modo per elargire qualche spicciolo a poche persone
invece di aumentare complessivamente, e attraverso la contrattazione
nazionale, uno dei salari più bassi d’Europa;
-  la bandiera del merito  agli  insegnanti,  costruita  intorno  a questi
criteri gerarchici ed efficientisti,  appare di fatto l’altra faccia, quella
rivolta ai lavoratori,   dell’  attitudine autoritaria dimostrata dal ministero verso gli studenti, attraverso l’inasprimento di provvedimenti come il 5 in condotta o la reintroduzione dei voti alle medie. 
Complessivamente  insomma,  rispetto  al  crescere delle difficoltà  e
della mortificazione del lavoro degli insegnanti riguardo al livello re-
tributivo, alla qualità della didattica e al riconoscimento sociale del
loro ruolo, il merito diventa un elemento che mira a distrarre e a spo-
stare l’attenzione da questi dati drammaticamente oggettivi ed esaspera gli atteggiamenti individualistici.
Partendo dall’esperienza quotidiana nel nostro lavoro, ci sembra che
siano altri gli elementi su cui investire per migliorare la qualità del-
l’insegnamento e motivare anche quella parte tra noi meno attiva e
consapevole del proprio ruolo.
In primo luogo,  una reale collegialità, (sia didattica -attraverso l’organizzazione  sistematica di momenti di confronto,  scambio e programmazione tra i docenti-  che gestionale – riguardante cioè le decisioni  sull’organizzazione della scuola nel suo complesso, attraverso un rilancio degli organi collegiali). Proprio tale collegialità, riconosciuta a livello salariale, può valorizzare una reale condivisione e un serio confronto della professionalità degli  insegnanti  e  stimolare  la  loro partecipazione attiva all’interno dell’istituzione scolastica. In secondo luogo, una efficace, reale e continua  formazione del corpo docente, in modo da fornire e costruire solide fondamenta e condividere comuni strumenti per orientare e progettare  il proprio  lavoro.  In ultimo, la stabilizzazione del  rapporto di  lavoro,  condizione  fondamentale per sperimentare un reale percorso di conoscenza, di inserimento e di programmazione all’interno di una classe e di appartenenza al proprio ambiente di lavoro.   Perché tutto ciò è assente dalla riflessione del ministro? 


Il merito entra nelle private: criteri formali e un contratto straccione
di Massimo Gargiulo

Da poco è stato rinnovato il contratto di lavoro delle scuole private (AGIDAE).  Una parte rilevante delle novità che lo caratterizzano è costituita proprio dal fatto che questo contratto
si è confrontato con la questione del merito. La progressione orizzontale di carriera infatti,  e l’(eventuale) aumento salariale accessorio
– al di là di quello tabellare (per i docenti circa 126 € lordi nel triennio
contrattuale) presente per tutti in busta paga – sono vincolati al raggiungimento di un punteggio che si ottiene sulla base di 4 parametri:
● la presenza sul posto di lavoro valutata in settimane senza assenze;
●  il raggiungimento degli standard di qualità per gli istituti certificati
(ma non è chiaro cosa si intenda per standard di qualità);
●  la partecipazione a corsi di formazione;
● la partecipazione degli  studenti a concorsi, iniziative ecc…organizzati da enti pubblici e privati.
Il premio salariale che si raggiunge va da un minimo di 150 ad un
massimo di 220 euro e viene elargito una tantum: per entrare in maniera stabile in busta paga (più precisamente, al 70% del totale), occorre ottenere il premio per tre anni consecutivi. Per le scuole che
non aderiranno a questo modello di valutazione del merito, è prevista, per il lavoratore, una garanzia retributiva: una cifra di 120 euro che andrà automaticamente alla fine del triennio nella busta paga di quei lavoratori che non avranno goduto della contrattazione di secondo livello.
Diverse sono le considerazioni che possono essere fatte su tale modello contrattuale:
- il  primo dato che emerge riguarda la scelta dei criteri stessi:  è evidente infatti, che si tratta di criteri tutti esterni all’ambito direttamente didattico, prova ulteriore della difficoltà di individuare elementi di valutazione del  lavoro dei docenti, (da notare  il ruolo centrale che acquistano eventuali e normali assenze nel raggiungimento del punteggio, che andrebbero recuperate con molte ore di  lavoro supplementare). In generale, ci si attiene a degli elementi sostanzialmente formali, in quanto valutabili quantitativamente.
- il secondo, riguarda la disparità di trattamento che un tale modello
implica: è evidente infatti la difficoltà per molti lavoratori, di praticare
una contrattazione di secondo livello in molti istituti privati, dove da
una parte il livello di sfruttamento e di ricattabilità è molto alto e
dove dall’altra,  accanto  a  scuole d’elite,  si  trovano  spesso piccoli
istituti in cui le condizioni economiche sono precarie e la gestione
decisamente familiare. Questo significa spezzare ulteriormente la ca-
tegoria  e,  più  in  generale,  allinearsi  con  le  tendenze  in  atto  nella scuola statale: regionalizzazione, premi concordati con i singoli istituti ecc… Anche in questo caso, ci sembra che il discorso del merito serva a mantenere  in  vita  un  contratto  straccione  (nella  scuola  privata  il salario è più basso che nella statale a fronte di un maggior numero di ore contrattuali) e ad assicurarsi forza lavoro umiliata, sfruttata e formalmente efficiente così da costituire un sistema scolastico basato su una concorrenza tutta giocata su aspetti esteriori e di facciata. 


L’ANALISI pagina 3
  Oltre la forbice numero 3 - gennaio 2011

Il merito entra nelle statali: standardizzazione e competizione
di Anna Angelucci (coord. Scuole secondarie di Roma)

Lo scorso febbraio, nell’ambito del Piano Nazionale Qualità e
Merito (PQM) 2009/2010 – 2010/2011, il Ministero ha istituito
un Comitato Tecnico Scientifico, con funzione di consulenza e
indirizzo, costituito da esperti esterni (pedagogisti? No, tutti econo-
misti), con l’obiettivo di indicare le linee strategiche per la costruzione
di un sistema nazionale di valutazione dell’attività didattiche, rivolto
sia all’operato dei docenti che al funzionamento delle singole scuole.
Guardiamo  nello  specifico  che  cosa  si  intende  valutare,  come  e
perché.
Riguardo alle scuole, strumenti principale della valutazione saranno
● la somministrazione massiccia di test Invalsi
● le relazioni realizzate da un team di valutazione, di cui non si chia-
risce la composizione.
Attraverso  l’integrazione  delle
due graduatorie  se ne produrrà
una finale che consentirà l’erogazione dei premi alle scuole che
si collocano nella fascia più altadella graduatoria stessa
Contemporaneamente,  anche “La Fondazione Agnelli, cioè la
Confindustria, in piena autonomia, effettuerà una ricerca sulla
sperimentazione, attivando propri strumenti d’indagine.
Riguardo  ai  docenti  invece,  il mezzo attraverso cui effettuare
la valutazione sarà
● l’apprezzamento, comprovato e  condiviso  all’interno  della
scuola e da parte degli studenti dell’operato del docente,  (l’apprezzamento, noto criterio scientifico, oggettivo e affidabile, for-
temente raccomandato da tutti i manuali di docimologia!).
A  tal  fine è previsto un nucleo di  valutazione  formato  da  due
insegnanti  a  tempo  indeterminato, eletti dal collegio a scrutinio segreto, e dal dirigente scolastico,  affiancati  in  qualità  di osservatori  dal  presidente  del consiglio d’istituto (cioè un genitore) e da un esperto esterno, che il MIUR ha già individuato nella Fondazione San Paolo  e nell’associazione Treelle, ovvero
leggasi  banche.  I  docenti  selezionati (20% tra quelli che hanno presentato domanda) riceveranno un premio una tantum pari ad una mensilità di stipendio, (un premio produzione, dunque, per assumere senza  ipocrisie  il  linguaggio e  i principi che ispirano i nostri decisori politici e i loro collaboratori).
Per erogare le future mance a scuole e docenti particolarmente meri-
tevoli, si attingerà ad una quota del 30% delle economie realizzate at
traverso la legge 133 del 2008, quindi ad una parte dei fondi sottratti
a spese essenziali per il funzionamento delle scuole ( sussistenza ordinaria, assunzione di personale precario, diminuzione delle ore di
sostegno, riduzione dei fondi per progetti volti all’integrazione, al recupero, ai viaggi d’istruzione, sospensione degli scatti salariali).
In quale direzione allora, sta andando l’operato del ministero? Una
prima considerazione è che, mutuando con molti anni di ritardo l’espe
rienza assolutamente fallimentare dei paesi anglosassoni, si ostenta
demagogicamente la misurabilità del “prodotto scuola” attraverso il
ricorso a strumenti spacciati per oggettivi e percepibili come tali solo
dai non addetti ai lavori o da chi, fomentato da anni di propaganda
mediatica contro i lavoratori statali, non vede l’ora di testare qualunque
strumento gli capiti tra le mani per stigmatizzare i presunti incapaci.
L’uso  strumentale  dei  test  standardizzati  proposti  dall’INVALSI  e
adottati dal MIUR  infatti, non  tiene conto delle differenti modalità
didattiche dei docenti, della gradualità della loro offerta formativa o
dei differenti livelli di partenza e condizioni socio-culturali degli studenti;  utilizza  inoltre  genericamente  il  termine    “apprendimento”, senza entrare nel merito dei contenuti da misurare, ( quali le conoscenze, le abilità o  le competenze degli alunni), lasciando agli esperti in questo campo di indicare le soluzioni più adatte a questo fine (cfr.il testo della proposta INVALSI, “Un sistema di misurazione degli apprendimenti… 2008” .stilata da tre economisti Checchi, Ichino e Cittadini). Nella  più  totale  confusione  dei  ruoli,  dunque,  accadrà anche da noi quello che da anni già accade negli Stati Uniti: la scuola che addestrerà meglio ai test e produrrà risultati migliori sarà considerata  più  appetibile  quindi  più  gettonata;  alle  altre,  a  quelle  che avrebbero gran bisogno di  investimenti,  resterà ben poco, o  forse, come accade in Gran Bretagna, verranno addirittura chiuse, in totale spregio dei principi di uguaglianza, assistenza, sostegno, pari opportunità sanciti dalla nostra Costituzione
Sommiamo allora  gli indicatori di questa sperimentazione che abbiamo incontrati finora: test (parola magica per le orecchie dei  meritocratici, indipendemente dall’oggetto della valutazione) + concorrenza (tra i docenti e tra le scuole, sulla pelle degli studenti) + denaro (quella mensilità tassata due volte e non comulabile ai fini pensionistici): produrranno davvero un miglioramento delle performance degli allievi e dei docenti? Genereranno investimenti in formazione e ricerca per le scuole in difficoltà? No, se si leggono i documenti ministeriali, ma soltanto qualche promozione, nell’ottica di una differenziazione di carriera (qualcuno ha dimenticato il DDL Aprea?), molti licenzia menti, confusione sulla governance delle scuole.
Ma c’è un dato di cronaca che ci fa ben sperare: non solo tutte le principali associazioni di categoria hanno espresso una critica nettissima nei confronti di questa operazione, ma soprattutto i collegi dei docenti delle scuole delle quattro città selezionate dal MIUR stanno rifiutando categoricamente, e dignitosamente,  l’avvio della sperimentazione, al punto  che  il MIUR  è  stato  già  costretto  ad  aggiungere Cagliari  e Milano e ad ampliare l’offerta alle scuole della provincia.    
Talvolta pecunia olet. Il governo restituisca alle scuole tutto il denaro
che ha sottratto con la legge 133/2008. Abroghi tutte le riforme, fatte
solo per esigenze di bilancio, senza nessuna reale valutazione peda-
gogica e didattica, che stanno distruggendo le migliori esperienze di
tutti  i segmenti della pubblica  istruzione. Rimetta gli enti  locali  in
condizione di provvedere alla sicurezza degli studenti e dei lavoratori
e di garantire  il diritto allo  studio. Respinga  i privati nel mercato,
fuori da un’istituzione sancita dalla Costituzione. Poi, quando tutto
questo sarà stato fatto, potremo finalmente chiarire di cosa parliamo
quando parliamo di valutazione e merito.

pagina 4 PROSPETTIVE Oltre la forbice numero 3 - gennaio 2011
di Loto Montina

Lo  schema di decreto  relativo al regolamento dei requisiti e modalità della formazione  iniziale  dei  docenti presenta diversi e importanti elementi  di  innovazione  del  processo di reclutamento:
1.  l’accesso al biennio magistrale abilitante potrà avvenire dopo il
conseguimento della sola laurea triennale (mentre il modello pre-
cedente prevedeva l’accesso alla scuola di specializzazione dopo
la  laurea  quatriennale,  poi  specialistica)
2. il tirocinio si svolgerà per un anno nelle scuole a titolo gratuito
e sarà immediatamente un intervento  attivo nella  classe:  il docente  tirocinante  cioè  avrà  di fatto gli stessi compiti e ruoli del
docente abilitato (mentre il modello  precedente  prevedeva  2
anni di tirocinio di cui solo il secondo  parzialmente  attivo,  e
completamente affiancato da un docente di ruolo,  garantendo un
ingresso più graduale e consapevole nella  realtà del proprio  lavoro)
3.  prevede che “i corsi di cui al presente decreto sono organizzati
dalle Università  senza  nuovi  o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, lasciando indeterminato chi di fatto finanzierài corsi.
Molte le riflessioni che possono essere  fatte  su queste proposte:
riguardo al primo punto,  si può notare che, a discapito dei  tanti
sbandierati proclami sul merito, l’accesso  al  percorso  abilitante
dopo la laurea triennale, produrrà docenti con sempre minori competenze disciplinari (per nulla positiva  è  infatti,  l’esito  della  riforma  3+2,  che  ha  di  fatto trasformato  il  primo  livello  del
percorso universitario in un groviglio  amorfo  di  discipline  sostanzialmente depotenziate.
Ma  l’aspetto più grave  è  certa mente  costituito  dalla  proposta
di  tirocinio  formulata dal ministero: di fatto si tratta di personale
gratuito  in quanto  il  tirocinante avrà di fatto gli stessi compiti e
ruoli  del  docente  abilitato, ma senza godere di alcun  salario o
ruolo  negli  organi  collegiali. Ecco come si rimpiazzano i supplenti tagliati…
Riguardo al secondo aspetto, risulta evidente che i corsi, qualora
si svolgeranno, saranno a totale carico degli iscritti (come già del
resto,  nel  precedente  sistema delle SSIS)
Un altro aspetto che va  sottolineato è che all’articolo 16 di que-
sto  schema  si  afferma  chiaramente: Questo, in tempi di violenti tagli alle Università, significa che anche questi corsi o non si attueranno o, peggio, si svolgeranno  a  totale  carico  degli iscritti.
E  il reclutamento? In materia ci sono le proposte contenute nel
DDL Aprea prima, nelle proposte Goisis e Cota poi. Ebbene, l’essenza di queste proposte è  l’affermazione dell’idea che il reclutamento  debba  superare  le graduatorie nazionali per  avvenire attraverso graduatorie regionali, se non, addirittura, nella prospettiva  di  concorsi  indetti direttamente dai Dirigenti, sulla scorta dei posti disponibili nelle singole scuole (o reti di scuole).
La nostra presa di posizione in merito.  La nostra posizione non può correre il rischio di arenarsi tra i perigliosi articoli della legislazione in oggetto. Primo perché possiamo  essere  sicuri  che  la
scuola verrà sottoposta ad altre, peggiorative, modifiche, secondo
perché abbiamo bisogno di individuare dei punti di orientamento
fermi, che ci permettano di avere le  idee chiare  in materia, affermando un punto di vista alternativo e rispondente al nostro specifico  e  comune  interesse  di lavoratori della scuola.
No  alla  regionalizzazione. La regionalizzazione  va  respinta,
perché colpisce innanzi tutto chi vive  condizioni peggiori  e perché, dividendoci, prepara  il  terreno a nuovi ed ulteriori attacchi e miseria. Allo  stesso modo va respinto  qualsiasi  criterio  che metta in concorrenza i precari tra loro. Dopo 150  anni di  sfruttamento, di clientelismo, e di politiche neo coloniali da parte delle borghesie  del  nord,  il  sud  vive condizioni drammatiche: la crisi occupazionale ha raggiunto picchi di insostenibilità (vedi il caso estremo dei suicidi, o anche degli scioperi  della  fame). Sostenere politiche federaliste in materia di assunzione vuol dire condannare gli  insegnanti del sud e,  in pari tempo, aumentare la concorrenza interna alla nostra categoria
Di pari passo dobbiamo denunciare l’innalzamento dell’età pensionabile  che  impedisce  l’ingresso  ai  nuovi  docenti  e  la “meritocrazia”, che la FLC ha di fatto  accettato,  arma  volta  solo
ad incentivare i ruffiani e proni.
Come  precari  della  scuola  non potevamo  prendere  una  posizione corretta rispetto alle nuove norme che regoleranno il nostro accesso  o meno,  la  nostra  permanenza  o  meno,  alle  dipendenze del “Ministero dell’Istruzione  dell’Università  e  della Ricerca”,  se  non  collocando  la ridefinizione del reclutamento e dei percorsi abilitanti all’interno del quadro determinato dalla crisi del sistema.
Crisi significa tagli e i tagli vogliono dire: più soldi al capitale, meno  soldi  ai  lavoratori  (taglio di salario diretto, di posti di  lavoro,  di  scuola,  sanità,  servizi, pensioni...). Nella scuola, drastica riduzione  di  personale,  risorse, mezzi, strumenti...
Dal punto di vista del potere borghese, i tagli della riforma Gelmini devono essere gestiti nella maniera  più  indolore  possibile: prevenire la possibilità che la rabbia di precari e disoccupati possa
superare  le  divisioni  sindacali, gli ostacoli  istituzionali e giuridici, per arrivare a  saldarsi con lo scontento dei docenti di ruolo, genitori  e  degli  altri  lavoratori della scuola, a loro volta pesantemente  colpiti  dalla  crisi. Gestire, per loro, significa insomma dividere e prevenire la possibilità che l’opposizione si generalizzi, radicalizzandosi.
Per concludere sul reclutamento, non possiamo che respingere la
frantumazione dei precari tra mille graduatorie per affermare, al  contrario,  la  necessità  che  il reclutamento avvenga, per tutti,
attraverso  le  graduatorie  nazionali, sulla sola base dell’anzianità di  servizio  e  dei  titoli,  escludendo,  però,  i  titoli  spazzatura.

PROSPETTIVE
Oltre la forbice numero 3 - gennaio 2011  pagina 5

Verso una critica dei contenuti.
Quale istruzione pubblica?
di Morena De Carlo

“Vuole  sapere  come  lo  possiamo  aiutare  a  prevenire  la
guerra. Vuole sapere come lo possiamo aiutare a difendere
la libertà, a difendere la cultura. E poi, guardi queste foto-
grafie: ritraggono cadaveri e macerie. Ammetterà che di
fronte a queste richieste e di fronte a queste fotografie, lei
deve riflettere molto attentamente prima di mettersi a co-
struire  il suo collège; deve chiedersi qual è  lo scopo del-
l’istruzione universitaria, quale  tipo di  società, di  essere
umani deve proporsi di produrre. E comunque, io le invierò
una  ghinea  per  ricostruire  il  suo  college  soltanto  se  lei
saprà dimostrarmi che la userà per produrre il tipo di so-
cietà, il tipo di persone che possono contribuire a prevenire
la guerra…”

Riportare questo brano di Virginia Woolf, tratto dal libro Le
tre ghinee, significa ricordare la passione di una scrittrice
che lottava, con “l’eco dei cannoni nelle orecchie”, contro
il  sapere  prodotto  nelle  scuole  e  nelle  università,  accusato  di
essere  una  delle  principali  cause  indirette  del  proliferare  delle
guerre. Mentre in Europa si cominciava a parlare di pericolo di
guerra, e la sinistra inglese moltiplicava le iniziative contro il fa-
scismo, Virginia Woolf affermava che quelle iniziative sarebbero
state come “farfalle sopra un falò”, se il rinnovamento non avesse
riguardato, innanzitutto, l’università, la scuola e il tipo di sapere
da esse prodotto, espressione della più subdola cultura maschilista
e guerrafondaia che spingeva le giovani generazioni verso i nuovi
feticci: il successo, il denaro, la guerra.
Come  insegnante precaria,  impegnata nella  lotta  in difesa della
scuola pubblica, mi sembra interessante partire da queste rifles-
sioni,  soprattutto  per  far  emergere  il  significato  più  profondo
della nostra lotta. I provvedimenti di questo Governo, dalla legge
133 che, mentre taglia 8 miliardi alla scuola pubblica, favorisce
modelli di scuola privatistici, alla riforma Gelmini delle scuole
superiori e dell’università, con l’immiserimento
dei  saperi che produce,  sono parte di un unico
disegno  che,  indebolendo  e,  quindi,  delegitti-
mando  il  sistema  pubblico  dell’istruzione,  ne
vuole confutare la funzione, storicamente legata
alla necessità di rendere possibile per tutti, a par-
tire dagli studenti più svantaggiati, un reale ac-
cesso all’istruzione pubblica, strumento primario
per comprendere criticamente la complessità del
mondo  reale e  in esso agire per  il suo cambia-
mento.
In questa prospettiva, l’avvento dell’autonomia
come cavallo di  troia per  introdurre criteri ma-
nageriali si lega alla scelta di aumentare il livello
di precarietà dei lavoratori della scuola, e produce
conseguenze drammatiche. La scelta di aumen-
tare il numero degli alunni per classe fino a 35,
infatti, come conseguenza dell’espulsione di 150
mila precari, prospetta un arretramento della di-
dattica, e si lega alle logiche meritocratiche, per
cui solo i migliori avanzano, unicamente per loro
buone  condizioni  di  partenza, ma  la maggior
parte degli studenti, invece, di fatto, non ha op-
portunità e possibilità per migliorare  le proprie
conoscenze e per sviluppare nuove capacità. In
questo modo,  è  evidente  come  il  successo  di
un’esigua  parte  di  studenti,  i  cosiddetti  “mi-
gliori”, poggi sull’esclusione di un’altra parte di
studenti,  i cosiddetti “non meritevoli”. Sempre
di più la scuola rischia di funzionare come mec-
canismo  di  inclusione-esclusione,  nella misura
in cui, se da una parte include gli studenti all’in-
terno del sistema scolastico, in quello stesso mo-
mento, ne esclude gli  studenti più deboli. E  in
generale,  un’istruzione  legata  ad  una modalità
trasmissiva, autoritaria del sapere e non condivisa
e partecipata, tende a passivizzarli e a neutraliz-
zarli tutti, politicamente e socialmente, costruen-
dogli  attorno  una  società  di  cartapesta  che  li  taglia  fuori  dalle
problematiche del loro ambiente reale. Si sente necessario e ur-
gente, all’interno delle scuole, contrapporre un allargamento del-
l’istruzione pubblica, attraverso una lotta che sappia insieme tra-
sformare  la  massificazione  dell’insegnamento  in  una  sua
democratizzazione, per riempire l’insegnamento statale di sostanza
emancipatrice.  Scongiurare  una  recrudescenza  delle  disugua-
glianze nelle scuole vuol dire evitare un inasprimento delle divi-
sioni sociali fuori dalle scuole, causa sempre di un arretramento
democratico e culturale che produce ignoranza e passività.
Per questo, la lotta di noi insegnanti precari, legandosi a quella
degli  studenti,  intende  far emergere non  solo  la  funzione della
scuola pubblica come luogo di elaborazione di un sapere critico,
ma anche come spazio di partecipazione collettiva capace di in-
nescare una discussione viva sulla scuola pubblica e sul sapere in
essa trasmesso, un confronto che sia, innanzitutto, il presupposto
per una  reale consapevolezza e partecipazione di  tutti gli  inse-
gnanti e gli studenti alle lotte di questo Paese.
“…nel collège che vogliamo non esisteranno le barriere di
ricchezze e di etichetta, di esibizionismo e di competitività
che rendono i vecchi e tristi collège dei luoghi in cui non è
bello vivere: città ostili e faticose, città dove ciò che non è
chiuso  a  chiave  è  fissato  con  una  catena;  dove  nessuno
può passeggiare liberamente e parlare liberamente per ti-
more di oltrepassare la riga di gesso, di scontentare qualche
dignitario;  il collège che vogliamo è una società non  im-
pacchettata in tristi ordini di ricchi e poveri, di intelligenti
e stupidi; ma dove tutti i diversi gradi e tipi di valore della
mente, del corpo e dell’anima possono esprimersi e  inte-
grarsi” (V. Woolf “Le tre ghinee”)

pagina 6 CULTURA Oltre la forbice  numero 3 - gennaio 2011

Il Coordinamento Precari Scuola e la libreria Anomalia: un cineforum sulla scuola
La scuola al cinema di Carlo Seravalli

Perché un cineforum sulla scuola? In più occasioni durante le
nostre riunioni è emersa l’esigenza di aprire una riflessione
sul  senso  e  sulle  problematiche  della  nostra  professione  e
più in generale sulla funzione che l’istituzione nella quale lavoriamo, la scuola, svolge nei confronti della società. Abbiamo riflettuto su quale potesse essere il modo più efficace per sviluppare queste tematiche, a partire dalla convinzione che una discussione di questo tipo non dovesse coinvolgere esclusivamente i militanti del nostro collettivo ma dovesse rivolgersi anche a quei colleghi che ci seguono e ci appoggiano nelle mobilitazioni, ma che spesso non sono immediatamente interessati ad essere coinvolti nell’impegno politico e organizzativo che la partecipazione alle quotidiane attività del CPS comporta.
La  proposta  del  cineforum  ci  è  sembrata  la  più  stimolante,  in
primo  luogo  in quanto ci è parso che  la visione collettiva di un
film con successivo dibattito fosse il modo migliore, e se vogliamo
più piacevole, per permettere a tutti di partecipare a una comune
riflessione: vedere un  film  in cui si parla di ciò che si  fa  tutti  i
giorni non può non stimolare in modo spontaneo nello spettatore
una riflessione; insomma crediamo che, dopo la visione del film,
ognuno di noi avrà qualcosa da dire e si sentirà in grado di metterla in comune con gli altri.
Ma la scelta non è stata motivata esclusivamente  da  questo  approccio. Infatti il cinema e la tvspessissimo mettono in scena figure di insegnanti e studenti; inpoche parole abbiamo osservato
che la scuola è frequentemente

oggetto  di  rappresentazione  in questo tipo di produzioni. Dato che il mezzo cinematografico e televisivo  contribuisce  forte mente  a  creare  quello  che  comunemente  chiamiamo  “senso comune” e quindi a influenzare profondamente l’opinione pubblica, ci è apparso stimolante vedere in che modo il mondo della scuola è da esso rappresentato.
Come  ci  dipinge  il  cinema?
Quali idee e aspettative può farsi il pubblico guardando i film che hanno per argomento la scuola?
Ci sembra importante come insegnanti  riflettere  su  questotema.
La scelta dei film è stata quindi fatta prediligendo qui titoli che ci  sembravano più adatti a  stimolare un dibattito aperto e problematico. Vorremmo che le pellicole proposte fossero un punto di partenza per una discussione tutta da  fare, né vogliamo  for nirvi una chiave di  lettura univoca delle problematiche che affronteremo. Questo  a maggior
ragione per il fatto che noi stessi, che abbiamo effettuato la scelta,
non condividiamo le stesse idee né a proposito dei film né sulle
questioni che  i  film affrontano e riteniamo che ciò sia uno stimolante  punto  di  partenza  per articolare  in modo  proficuo  il percorso da fare. 

Vi invitiamo quindi a condividere con noi questa esperienza che
prevederà come prima proiezione il film
LA CLASSE, di Laurent Cantet (Francia, 2008), che segue le
vicende relative a una classe di scuola superiore di un istituto situato nella periferia parigina e in cui si osserva il rapporto che gli
alunni  istaurano  con  il  loro  insegnante  di  lettere  e  le  strategie
messe in atto da quest’ultimo.
Vi aspettiamo lunedì 31 gennaio alle ore 21,00 presso la libreria
“Anomalia” in via dei Campani 73 (zona San Lorenzo).
Il successivo programma verrà fornito in seguito ai partecipanti e
diffuso tramite mail. Per contatti e ulteriori informazioni telefonare
al numero 3343378851 (chiedere di Carlo).
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Vi sollecitiamo a farci pervenire i vostri contributi, le osservazioni e lettere alla redazione. Per contatti con la redazione di Oltre la
forbice e  con  il  Coordinamento  Precari  Scuola  di  Roma:  
mail:  oltrelaforbice@gmail.com (redazione) movimentoinsegnantiprecari@gmail.com (CPS);